giovedì 18 novembre 2010

CORNO PICCOLO - I ascensione cresta O Seconda Spalla - 27 Luglio 1930



Gli Aquilotti di Pietracamela, nati nel 1925 dall'idea di Ernesto Sivitilli, nei primi anni di attività alpinistica mettono in paniere una serie di prime nel gruppo del Gran Sasso tali da meritare l'attenzione di tutti gli osservatori dell'epoca a tal punto che, nel Giugno 1931 il Club Alpino dedica alle nuove ascensioni addirittura la copertina della propria rivista come possiamo osservare nella foto della stessa.

Qui di seguito la descrizione integrale del Sivitilli della prima ascensione della seconda spalla del Corno Piccolo tratta dalla stessa rivista.




CORNO PICCOLO, m. 2637. - I ascen­sione delia Seconda Spalla delia cresta O. ­Con Osvaldo Trinetti, Bruno Marsilii, Antonio Giancola, Antonio Panza e Venturino Franchi, 27 Luglio 1930.
II Corno Piccolo, per tanti anni miraggio dei sognatori di vergini, irraggiungibili cime e, in seguito, palestra di epiche lotte spesso con­clusesi in onorate sconfitte, era ormai solcato, in tutti i suoi lati, da quelle immaginarie linee che son le vie alpinistiche e chiuso, per ciò, a possibilità di vie nuove.
Unica sfinge allettante e beffarda - su­perba vergine ribelle - rimaneva la seconda Spalla della cresta O., strano, lapidario spalto sfuggente in un salto di varie centi­naia di metri, implacabili nella assoluta compattezza e levigatezza di una roccia gri­giastra e repulsiva.
Sembrava la sfida, l'ultima sfida che la natura vinta lanciava agli illusi dominatori!
E questa sfida io avevo raccolto, almeno nel sogno! Sogno di vari anni, fino al tor­mento! Attorno alla superba Spalla che aveva respinto attacchi di scalatori egregi, come at­torno alle linee perfette del corpo di una amante ideale, la mia fantasia aveva intrec­ciato, col fervore degli innamorati, i sogni più deliziosi, creando tutta la particolareg­giata gamma di quelle sensazioni che ci pre­parano a gustare la conquista.
Giunto a tal punto, non rimaneva che ten­tare: per rimanere padrone del sogno 0 per rica­dere nella sconsolante tristezza dell'illusione.
All'impresa associo i migliori dei miei Aquilotti residenti a Pietracamela.

Un conciliabolo con Osvaldo Trinetti a cui avevo confidato, di mano in mano, tutte le osservazioni e le indagini fatte in varie epoche, mi fa decidere di sce­gliere per l'attacco la via della parete settentrionale.
Al mattino di buon'ora, si parte da Pietracamela, affrettatamente, quasi con impazienza, in silenzio.
La distanza che ci separava dalla For­cella soprastante alla Terza Spalla, vien divorata in appena due ore. Breve sosta per i preparativi dell' at­tacco.
Scendiamo per una trentina di metri lungo il canale del Tesoro Nascosto, fermandoci sotto ad una specie di infos­samento che porta in alto sul filo di cresta.
Uno strapiombo di dieci metri ci ob­bliga ad attaccare a sinistra, formando una prima piramide umana. Per raggiungere il centro dell'infossamento dobbiamo at­traversare un lastrone che richiede ma­novre di sicurezza; la forzata immobilità in atteggiamento tutto scimmiesco, mi fa intirizzire le dita dal freddo. Una spac­catura obliqua di quattro metri ci porta ad una cengia ed a rocce facili attraverso cui raggiungiamo una marcata forcella. Siamo sul filo di cresta che è formato da una specie di dorso smusso e tondeggian­te. Sopra ci domina la sfuggente, mono­litica verticalità della Spalla e sotto oc­chieggiano i neri burroni della Val di Maone.
Una crepa lunga circa sei metri mi per­mette qualche aderenza sufficiente ad in­nalzarmi sino ad uno spacco, dove sosto in posizione sicura. Pochi metri facili ci danno un respiro e ci consentono di ammirare una fac­ciata rocciosa, compatta, solcata verti­calmente da una stretta crepa di 8o-1oo metri. Per aderenza, mendicando gli appi­gli, incastrando gli arti, rimanendo so­speso per permettere agli altri di ar­rampicare, raggiungo un posticino si­curo, donde, volgendo a sinistra, mi porto in un facile canalino lungo quattro metri. Spostandomi indi a destra, raggiungo, con sorpresa, un profondo spac­c0 col fondo formato da una rampa liscia. La cordata, frattanto, si snoda lungo la facciata ormai vinta e mi da l'impressione, a guardarla da questo punto, di scoiattoli in vena di allegri acrobatismi. Riunitici, riprendiamo superando qual­che sbarramento. Marsilii costruisce un ometto che stranamente gli somiglia! La rampa, sempre più sfuggente, ci fa poggiare a sinistra lungo un canalino di cinque metri e sino ad un lastrone sol­cato da un regolare canalino, inciso dalle acque di scolo. In un buco poniamo un biglietto. Un pianerottolo precede un canale di una quindicina di metri, sbarrato in alto da un masso a faccia perfettamente liscia e in lieve strapiombo. Scarsi appigli mi obbligano a condizioni di precaria sta­bilità per circa cinque metri ed indi, senza alcuna tregua, una crespa sottile con appena accennata scabrosità ci im­pone una piramide umana di quattro, in straordinaria posizione.
Una selletta ci consente riposo: siam quasi sotto alla difficile meta. A destra qualche accenno di canalino solca la ver­ticale rampa sommitale; un sasso lasciato cadere nel vuoto tocca terra dopo dieci secondi: dopo altrettanti si ode il tonfo di rimbalzo. Vorremmo tentare da questo lato, ma uno strapiombo ci consiglia a te­nere la sinistra, dove, a difficoltà maggio­ri, corrisponde però minore esposizione. Attacchiamo perciò alcuni lastroni in­clinati, dapprima lisci, indi con qualche appiglio dato da superficiali crepe, e poi sfuggenti e assolutamente compatti: sia­mo costretti a manovre delicate di sicu­rezza. Raggiunto un canalino, ci ritro­viamo contro uno strapiombo a forte esposizione che non consente via di uscita e di cui abbiamo ragione solo con altre piramidi umane di quattro. Ancora qual­che metro di canalino e poi il punto più difficile di tutta l'arrampicata: un saIto di vari metri, solcato da una fessura stret­tissima, ci è dinanzi e precede la vetta. Dopo uno sguardo molto comprensivo ognuno tace e ognuno pensa, forse, che
tutto il lavoro fatto possa essere stata una fatica di Sisifo. Raccolgo le mie forze e senza parlare mi attacco alla roccia: il corpo striscia ed una mano annaspa entro la crepa. Giancola e Marsilii cer­cano di puntellarmi e di dare al corpo, con la piccozza sollevata, l'impressione di non essere per due terzi sporgente nel vuoto immane. Ma io vado su con quell a forza e con quella leggerezza caratte­ristica dei momenti supremi : un sospiro tirato a tutto fiato annuncia ai miei amici la vittoria.
Ancora un canalino a sinistra, delle cengette e poi lo spiovente delIa Spal­la che è alfine cosa nostra e che chiude degnamente le imprese accademiche suI Como Piccolo, iniziate dalla forza di un valligiano di Assergi e conchiuse dalla audacia dei valligiani di Pietracamela.
Sulla Forcella Bonacossa sostiamo a lungo nell'estasi della vittoria. La cresta O. del Como Piccolo, la cui conquista integrale era ritenuta impossi­bile, è oggi patrimonio delle nostre acqui­sizioni alpinistiche e rappresenta certo una delle massime vie di roccia. Ecco alcuni dati: circa mille metri di dislivello in tre immani salti tutti a continue diffi­coltà e richiedenti dalle sette alle otto ore di arrampicata.

1 commento:

Il Mascherone - Vince Odoardi ha detto...

"meno male che WALTER c'é..."!!

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