lunedì 12 settembre 2011

PELMO (per Cengia di Ball)


cengia di ball

nadia in un passaggio difficile

"passo del gatto"

il Vant

salita dal Valòn al Vant

cresta

verticalità

vetta

Roberto all'inizio discesa

incontro casuale con Clark

discesa nel Valòn

Il monte Pelmo (m.3.168), la cui forma concava ricorda quella di un gigantesco trono (=caregon, da cui 'el caregon de Dio'), è stata la prima grande vetta dei monti "pallidi" ad essere scalata dall'uomo.
Il 19 settembre 1857, verso le tre del mattino, lo scienzato naturalista inglese John Ball, con l'aiuto di una guida locale, partì dall'abitato di Borca di Cadore (Belluno) con la ferma intenzione di violare tale vetta.
La scelta di questo monte non fu per quest'uomo casuale. Sosteneva che nelle Alpi nessuna montagna fosse paragonabile a questo gigantesco e solenne monte.

I due "pionieri" in circa due ore e mezza riuscirono, senza troppe difficoltà, a raggiungere le pendici del Pelmo e continuarono la loro avventura individuando una grande cengia che attraversa la parete est.
Non fu per niente facile percorrerla tutta a causa di tre passaggi particolarmente audaci: due di questi sono dovuti ad una interruzione della stessa, mentre il terzo è costituito da un tetto molto basso il cui superamento comporta il passaggio in un cornicione, il famoso "passo del gatto" dal fatto che lo superarono carponi.
Fu quindi grazie al coraggio di Ball che la spedizione potè proseguire (nell'attraversare la seconda interruzione cadde un'enorme masso che impauri non poco la guida locale) nonostante la primitiva e scarsa attrezzatura del tempo.
I due arrivarono al vallone centrale e lo percorsero fino a raggiungere un piccolo ghiacciaio di circo, oggi ormai praticamente scomparso per lasciare il posto a particolarissime e minuscole pozze d'acqua. Dei veri e propri laghi in miniatura.

A questo punto, forse a causa della eccessiva stanchezza, il compagno del naturalista decise di fermarsi, mentre l'intrepido,con non con poche difficoltà, affrontò il faticoso tratto finale e riuscì a raggiungere (verso l'una) l'affilata ed esposta cresta di massima elevazione.
La visione che gli si presentò fu meravigliosa, si poteva vedere addirittura il Grossglockner, massima elevazione dei Tauri Austriaci, nonché tutte le cime dolomitiche e, più in là, il gruppo dello Stelvio.

Il ritorno non presentò grosse difficoltà, anche se il "passo del gatto" si presenta sempre delicato e pericoloso, specie dopo tanta fatica, tanto che già alle cinque del pomeriggio i due raggiunsero i pascoli sottostanti.

Naturalmente, riguardo alla faccenda, numerose sono le disquisizioni sul fatto che ben prima di Ball altri siano giunti in vetta alla grande montagna. Probabile l'ascesa di cacciatori di camosci, ma quasi certo il raggiungimento della vetta una ventina d'anni prima da parte di un naturalista, come proverebbe la quotatura molto precisa effettuata con un barometro altimetrico.

Noto presso i cadorini come il ’l caregón del Padreterno, ovvero il trono di Dio, grazie alla sua forma simile a quella di un ampio e colossale scranno roccioso, il Pelmo (3149m) è caratterizzato dall’imponenza e dalla maestosità. A chi lo avvicina o lo ammira dalle vicine cime del Civetta e dell’Antelao, il Pelmo si presenta infatti come un massiccio di enormi proporzioni, isolato e potente, tanto da essere considerato una delle più solenni vette delle Dolomiti.
Questa via normale ad uno dei più grandiosi colossi dolomitici non è da affrontare con leggerezza, sia per il notevole dislivello (1600 m circa) sia per le difficoltà tecniche (un passo di II+) e l'esposizione costante sulla Cengia di Ball.

La via normale, pur non presentando difficoltà alpinistiche di rilievo, va trattata con estremo rispetto. È infatti nota per la famosa “Cengia di Ball” che taglia parte del suo versante meridionale e obbliga chi la percorre ad un’attenzione e ad una cautela senza pari. Lunga quasi 1 km, la cengia è sempre molto stretta (da 1 metro a 50 cm) e ha un’esposizione mozzafiato. La via è quindi considerata particolarmente insidiosa (specie in caso di brutto tempo, tutt’altro che inusuale in quest’area), sia per alcuni passaggi molto esposti presenti lungo la cengia (uno per tutti, il famosissimo “Passo del Gatto”) e in cresta, sia per i suoi numerosi, anche se brevi, tratti di arrampicata (II+) che ne fanno un percorso adatto ad escursionisti esperti, dotati di un minimo di familiarità con l’alpinismo.
descrizione:
Accesso
Da Zoppè di Cadore (1461m), seguire le indicazioni per Rifugio Venezia e parcheggiare alla fine del paese, in prossimità di uno spiazzo attrezzato, posto di fronte ad alcune abitazioni moderne (strada chiusa).
In realtà sarebbe possibile proseguire con l’auto per altri 200 m circa in direzione opposta al punto di parcheggio (Col de la Viza), e arrivare ad un successivo spiazzo sterrato, ma il primo parcheggio risulta più comodo e protetto, ed è quindi preferibile.
Lasciata l’auto, percorrere la rotabile 456 fino a un promontorio a quota 1799 m, dove la strada piega a nord e appare improvviso il Pelmo, in un’inquadratura che regala esattamente l’immagine dell’enorme trono con cui il Pelmo è da sempre identificato. Presso il promontorio confluisce da sud il sentiero 471 che sale direttamente, ma più faticosamente, da Zoppè (in località Sagui).
Qui si è letteralmente sovrastati dall’imponente struttura del Pelmo, che offre a E il suo versante più arrendevole, sul quale si può individuare la sottile linea della Cengia di Ball, che dalle ghiaie sottostanti la Spalla Est ne intaglia il basamento, conducendo all’ingresso del vallone orientale.
Proseguendo un poco, si comincia ad intravedere su un minuscolo colle il Rifugio Venezia, raggiungibile in pochi minuti (1946 m; 1 ora da Zoppè).
Itinerario
Dal retro del Rif. Venezia (1946 m) si risale il sentiero 480 in direzione NO, prima su terreno coperto da mughi e poi su ghiaione, e si giunge così alla base dell’altissima Spalla Est. Prima di raggiungerla si trova un bivio: sulla destra, verso N, continua il sentiero 480 (sentiero Flaibani) che porta a Forcella di Val d’Arcia; a sinistra, invece, un sentiero meno marcato, ma comunque evidente, punta direttamente alla base delle rocce, raggiungendole in corrispondenza di una paretina gradinata di roccia chiara (2100 m; ore 0.20 dal rifugio).
Superata senza grandi difficoltà la breve parete, si raggiunge così la bancata con la quale ha inizio la famosa Cengia di Ball, che attraversa orizzontalmente l’intera parete Est.
Si comincia quindi a percorrere la lunga cengia in direzione S, lungo cornici roccioso-ghiaiose e tracce di sentiero, oltrepassando le rientranze formate da tre successivi canalini dove, nei tratti meno facili, si trovano infissi chiodi per eventuali manovre di assicurazione. Tutti i tratti più critici obbligano infatti a saliscendi molto esposti e al superamento di brevi interruzioni della cengia, e richiedono l’uso delle mani in appoggio e/o tenuta, per assicurare un maggiore equilibrio.
Il primo passaggio che obbliga – non senza qualche preoccupazione – ad abbassarsi rispetto alla tracciato di cengia, è il cosiddetto “Passaggio dello Stemma” (è presente una targa commemorativa), attrezzato comunque con chiodi per chi volesse fissare delle corde.
Il secondo passaggio si trova invece poco oltre la metà della cengia, ed è un bloccato da una voluminosa sporgenza e da una brevissima interruzione della cengia stessa, superabile però abbastanza facilmente se ci si riesce ad assicurare con le mani alle buone prese presenti a destra e a sinistra della sporgenza stessa. In caso contrario, è comunque presente una corda (abbastanza bassa, però, rispetto alla sporgenza) che consente di superare il passaggio in sicurezza.
Nel fondo dell’ultimo canale, infine, si trova il passaggio chiave della cengia, il Passo del Gatto, dove una sporgenza della roccia costrinse Ball a procedere carponi, strisciando nella bassa spaccatura orizzontale della roccia. Oggi, invece, il passaggio è comunemente superato utilizzando la corda attrezzata dal rifugista (fino all’anno scorso erano presenti dei cordini fissati ai chiodi), che rende il superamento dell’interruzione relativamente facile, anche se non riduce la sensazione di forte esposizione.
In tutti e tre i passaggi sono comunque presenti chiodi su cui attrezzare ulteriori corde fisse.
Verso la fine della cengia, poi, non vanno sottovalutati alcuni passaggi su rocce molto lisce e scivolose, facilmente gestibili in condizioni di asciutto, ma decisamente pericolose in condizioni di umidità e di pioggia. In particolare, un passaggio da realizzare chini poiché per alcuni metri l’altezza del vano in cui scorre la cengia si riduce sensibilmente, si rivela particolarmente insidioso a causa dell’estrema scivolosità delle rocce.
Dopo questo tratto la cengia diviene più agibile, anche se sempre aerea ed esposta, e si conclude sul bordo inferiore del Valòn, un enorme vallone detritico compreso fra le due spalle del monte. È a questo punto che comincia il dislivello: il carattere della salita cambia infatti in modo radicale, e la traccia – segnata da numerosi ometti – conduce attraverso il ghiaione con numerosi zig zag fino ad arrivare a quota 2700 m circa sotto una fascia di salti rocciosi che collega la Spalla Sud alla Spalla Est. Seguendo la traccia e gli ometti, si superano quindi alcuni gradoni (I° e II°) e si raggiunge il circo superiore (il Vant), non visibile dal basso.
A questo punto si risale diagonalmente il Vant verso O (in direzione, cioè della sella di sinistra), e a quota 3000m circa si raggiunge l’arcuato ciglione occidentale del monte che unisce la sommità alla Spalla Sud del Pelmo. Piegando quindi a NNE, si percorre un breve tratto di cresta, indicato ancora una volta dalla traccia e dagli ometti, che offre gli ultimi adrenalinici momenti di esposizione: un passaggio sul filo della cresta con impressionante vista sul vuoto da entrambi i lati (attenzione al vento), e un passaggio di arrampicata per superare un salto di roccia verticale di poco meno di 2 metri. Ed ecco che, dopo pochi minuti, si giunge in vetta (3159 m), da dove è possibile godere di un panorama mozzafiato : Civetta, Marmolada, Sella; Latemar, Catinaccio, Sassolungo; Croda Da Lago, Nuvolao, Averau, Lagazuoi e Tofane…
La discesa si svolge lungo la via di salita, e richiede un impegno di pari entità della salita: i brevi tratti di arrampicata vanno ridiscesi, e così i gradoni e il ripido vallone. Ma, soprattutto, va ripercorsa tutta la cengia, con i suoi saliscendi, la sua esposizione, le sue rocce scivolose e i suoi passaggi più esposti.

4 commenti:

Unknown ha detto...

Quanto al "passo del gatto" noi abbiamo l'eremo di San Giovanni!! Naturalmente scherzo. Gita di grande interesse e bellezza, considerato inoltre che non si tratta di una ferrata.
Rinnovo la mia sana invidia!

Fausto2000 ha detto...

Chiaramente eccellente post, per le foto, la relazione storica e dell'escursione... ma il dilemma è sempre quello: quando colpisci ?! o stai relazionando "a spizzico e bocconi" le imprese di una vita ??!!

Annibale ha detto...

La risposta è semplice:ho colpito per una settimana a cavallo di Ferragosto.
Sto relazionando "a spizzichi e bocconi" le escursioni di quella settimana (non quelle di una vita,ci mancherebbe).
Vorrà dire che d'ora in poi metterò la data di effettuazione!

Silvio ha detto...

Bella la relazione, e bello (e impressionante) il percorso!

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